TRJ con Artemide per illuminare Palazzo Butera Intervista a Giovanni Cappelletti
Nell’anno di Palermo Capitale della Cultura e della biennale itinerante di arte contemporanea Manifesta 12, la città ha vissuto la riapertura dei primi ambienti di Palazzo Butera. Questo maestoso edificio del ‘700 è infatti protagonista di un visionario progetto, avviato circa tre anni fa dal mecenate Massimo Valsecchi insieme a sua moglie, Francesca Frua De Angeli. Il palazzo non ospiterà soltanto la collezione d’arte “Francesca e Massimo Valsecchi” – che vanta opere di Andy Warhol, Annibale Carracci, Gehrard Richter, soltanto per citarne alcuni, ma si trasformerà in un laboratorio in divenire con l’intento di coniugare arte, storia e cultura.
Al fine di soddisfare le esigenze progettuali, si inserisce il contributo di TRJ con i sistemi di illuminazione Artemide, in modo da illuminare Palazzo Butera a seconda delle diverse necessità espositive.
Proprio in merito a questa ambiziosa progettazione illuminotecnica, abbiamo avuto il piacere intervistare l’Arch. Giovanni Cappelletti. Responsabile del progetto architettonico e museografico, ha diretto i lavori di restauro di Palazzo Butera insieme a Marco Giammona e Tommaso Garigliano.
Ci soffermiamo a chiacchierare con l’architetto nei pressi della passerella sopraelevata in ferro e vetro, realizzata per collegare i quattro ambienti del piano terra.
Arch. Cappelletti, parlando in generale del progetto architettonico e museografico di cui Lei è responsabile, quale linguaggio si è deciso di utilizzare?
“Quello del linguaggio è un problema complesso, che credo vada affrontato in modo più ampio. Ci troviamo all’interno di una struttura antica, molto stratificata di contrassegni architettonici. Il punto di partenza è stato decidere di utilizzare dei segni neutri, non sovrapponendoli a un linguaggio che è già molto connotato dal punto di vista architettonico. Ma, allo stesso tempo, utilizzare dei segni che siano assolutamente riconoscibili. Vi è, infatti, la necessità di far comprendere ai futuri visitatori del museo che questo era l’edificio, ma che qualcosa è cambiato nell’iter di progettazione e di restauro. Quindi: segni precisi, segni forti, connotati di un’espressione moderna, grazie all’utilizzo di segni linguistici dal carattere contemporaneo. L’impiego di materiali specifici e molto limitati (come il ferro e il vetro) ha contribuito a identificare un preciso ambito linguistico. Questo era l’obiettivo alla base del nostro intervento, individuare pochi segni, precisi, che dessero una connotazione molto specifica”.
Si è trattato, insomma, di un restauro di tipo filologico, che prevedesse la riconoscibilità degli interventi e dei nuovi elementi inseriti nello spazio…
“Dal mio punto di vista, un restauro è sempre filologico. Il restauro parte come prima istanza dalla ricostruzione e, quindi, dallo studio del manufatto sul quale si interviene, per meglio comprendere come sia stato fatto. La filologia è quindi lo strumento principale. Gli interventi, come dicevamo, sono invece moderni e dialogano con quel che è stato scoperto durante il lavoro di restauro. Ma devono anche adeguarsi agli imprevisti, alle sorprese che il palazzo riserva nelle fasi di restauro, e in questo caso sono stati moltissime. Il pavimento sul quale ci troviamo adesso, prima non esisteva poiché era stato ricoperto da un altro pavimento. Cominciando gli scavi per i lavori di impiantistica, abbiamo riscontrato la presenza del basolato antico e abbiamo cambiato, per forza di cose, non soltanto il progetto architettonico, ma anche il progetto impiantistico.
E questo è soltanto un esempio, ci sono infatti tantissimi modi in cui il palazzo reagisce ai lavori condotti su di esso. In maniera positiva, il più delle volte. Ogni volta che togliamo qualcosa, il palazzo risponde positivamente, riprende a vivere, diventa più bello. Un altro esempio è rappresentato dall’ormai nota sala della radice”. Durante i lavori di scavo, è stato infatti rinvenuto un ex canale di scolo rivestito di maioliche, nel quale si è insinuata nel tempo la radice dell’albero Jacaranda situato nel cortile di Palazzo Butera. Un imprevisto, trasformato in corso d’opera in un vero e proprio elemento del percorso di visita, anche in questo caso valorizzato da un’illuminazione studiata ad hoc.
Dato il particolare approccio a un restauro che fosse non soltanto conservativo, ma anche innovativo, in che misura il contributo di TRJ e l’utilizzo dei sistemi d’illuminazione Artemide ha aiutato la valorizzazione del progetto?
“La progettazione illuminotecnica è stata finalizzata alla destinazione d’uso del progetto, ovvero lo spazio espositivo. Avere come finalità l’esposizione di opere d’arte, ci ha portati a individuare una certa tipologia di prodotti – all’interno della produzione di Artemide – che permettessero di raggiungere il risultato desiderato.
Per quanto riguarda la cosiddetta illuminazione architettonica – dunque l’illuminazione dell’edificio durante la sera e l’introduzione di apparecchi specifici per l’esterno – è stato uno degli aspetti più riusciti in questo ambito di intervento.
L’illuminotecnica delle sale è, invece, più tradizionale. Si tratta di proiettori LED con un sistema di doppia illuminazione: una striscia LED su binario che dona una luce diffusa, unita a spot che offrono una luce più specifica.
Indubbiamente, l’ampia possibilità di scelta offerta dal catalogo Artemide ha molto aiutato il nostro progetto, poiché ha fornito delle soluzioni diversificate per ogni specifica esigenza. Come sempre d’altronde, quando si introducono nuove tecnologie, si porta innovazione. Tra l’altro, l’innovazione tecnologica consente una migliore fruibilità degli spazi e una migliore lettura delle opere d’arte. Si tratta di una tecnologia finalizzata all’ottenimento dell’obiettivo finale, cioè mostrare l’edificio e le opere contenute al suo interno”.
Vi sono state difficoltà, dovute al rapporto con il territorio siciliano?
“In realtà tutto il contrario. Tutte le opere realizzate, compresi i materiali, sono di origine siciliana o quantomeno lavorati in Sicilia. I restauri, le opere nuove, tutto è stato realizzato da maestranze siciliane, sia di carattere tradizionale come le imprese edili, sia start up innovative che si occupano di progettazione in ferro, falegnameria e così via. I fabbri, ad esempio, sono di Palermo e di Gangi, un falegname è originario di Favara, insomma tutto le strutture e gli arredi sono stati realizzati in maniera egregia, con un alto livello di professionalità e competenza. Anche in termini di strumentazioni, perché certi macchinari utilizzati – ad esempio nella realizzazione di una scala come questa, molto complicata – sono strumenti particolari. Trovarle con facilità in questa parte del mondo è un aspetto assolutamente positivo”.
Ci parli del rapporto con la luce: quanto è importante il ruolo della luce, in un progetto di tale portata? Quali funzioni è chiamata a svolgere?
“La luce all’interno di un percorso museale è fondamentale. Idealmente – come diceva Carlo Scarpa – per illuminare le opere d’arte non ci sarebbe niente di meglio della luce naturale, che riesce ad esaltare i colori, le forme, le geometrie delle opere. Ma la luce naturale è variabile, nell’ora crepuscolare mutano la temperatura e il colore della luce, e quindi la resa degli oggetti illuminati. L’introduzione della luce artificiale consente di ottenere un migliore livellamento delle tonalità luminose e, soprattutto, costanza. In questo modo, lungo tutte le ore della giornata potremo ottenere la stessa tipologia di illuminazione – aspetto fondamentale dal punto di vista percettivo.
Per la fruizione delle opere di un museo è importante, insomma, lavorare sull’interazione tra fonti di luce naturale e fonti di luce artificiale. Questo lavoro non è sempre facile, appunto per la variabilità della luce naturale, e il più delle volte si preferisce schermarla. Noi, all’interno di questi spazi espositivi, abbiamo cercato invece di mantenere la luce naturale, portandola in evidenza e supportandola quando necessario con la luce artificiale.
Da questo punto di vista, il fatto che Artemide disponga di una gamma di prodotti con un’ampia gamma spettrale ci ha permesso di variare, a seconda dei casi, l’intensità luminosa o la temperatura e il colore della luce”.
In Italia, viene riconosciuta la giusta importanza del progetto illuminotecnico?
“Personalmente, penso che il progetto architettonico dipenda da un’idea, espressione di un insieme di elementi maturati da una persona. Quando progetto uno spazio, ho già in mente che tipo di luce voglio ottenere, ma naturalmente vi è la necessità di strumenti tecnici necessari per ottenere quel tipo di luce. In questo senso, ho dunque bisogno di un supporto tecnico che mi guidi nella scelta degli strumenti da impiegare per ottenere quel risultato. Da questo punto di vista, la progettazione in termini di lighting design si integra in maniera molto stretta con la figura dell’architetto”.
A questo punto, ringraziamo l’Arch. Cappelletti, per l’interessante approfondimento, mentre continuiamo ad ammirare la maestosità di Palazzo Butera: un punto di partenza, nella visione di Valsecchi, per ripensare l’identità europea a partire da Palermo. In questa grandiosa visione, abbiamo avuto il piacere di illuminare Palazzo Butera non soltanto con finalità pratiche ed espositive, ma anche per esaltarne la monumentale bellezza architettonica.