Simmetrie: Giovanni Cappelletti e Artemide
Simmetrie, un ciclo di interviste in equilibrio tra design e architettura
L’intervista all’architetto milanese Giovanni Cappelletti in un confronto con lo storico brand Artemide, leader mondiale nell’illuminazione residenziale e professionale d’alta gamma. Fondata nel 1960 da Ernesto Gismondi e Sergio Mazza, Artemide ha ricevuto numerosi riconoscimenti a livello nazionale e internazionale, rendendola una delle aziende simbolo nel settore delle lampade di design.
Una delle più importanti e gratificanti collaborazioni di TRJ è quella, costante, con l’architetto Cappelletti e con Artemide in occasione del progetto di restauro conservativo e dell’ampliamento di Palazzo Butera, il maestoso edificio settecentesco che si trova nella Kalsa, quartiere del centro storico di Palermo.
Ed è proprio al fine di soddisfare le esigenze progettuali ed illuminotecniche che si inseriscono i servizi di consulenza progettuale TRJ e la fornitura dei sistemi di illuminazione di Artemide.
Il progetto di restauro e quello museografico hanno richiesto diversi tipi di illuminazione, a seconda delle diverse esigenze espositive, a seconda degli spazi e dei materiali. Alcune volte con un approccio più tradizionale altre più innovativo. Molte volte queste esigenze sono state soddisfatte con dei prodotti dell’ampio catalogo Artemide, altre con dei prodotti realizzati ad hoc dall’azienda stessa.
Ed è in questo rapporto simmetrico, di equilibrio e rispetto tra le parti, che nasce un grande progetto, una collaborazione unica e questa occasione di sentire la voce dei protagonisti.
“Prima di rispondere alle domande, vorrei spostare leggermente il loro senso attraverso una precisazione semantica – ci dice l’architetto Giovanni Cappelletti – Personalmente non amo particolarmente la parola Simmetria la quale esprime un concetto che ho sempre trovato piuttosto rigido e di comoda applicazione. La simmetria è facile; la simmetria è prevedibile; la simmetria a volte è banale e porta a un “bello” che trovo un po’ troppo “lineare”. Alla parola Simmetria preferisco di gran lunga la parola Euritmia!”
Euritmia s. f. [dal latino. eurythmĭa, a sua volta derivato dal greco εὐριϑμία, composto. di εὖ «bene» e ῥυϑμός «ritmo»]. Disposizione armonica e proporzionale delle varie parti di un’opera d’arte, specialmente in architettura.
“L’euritmia esprime un ordine tra le parti articolato, dotato di complesse rispondenze interne; descrive una bellezza che non si coglie a colpo d’occhio ma richiede attenzione; una proporzione dinamica e armoniosa; una composizione in cui ogni elemento è disposto secondo un ordine equilibrato – ma che può essere inteso anche come un ordine vivace, emozionante! – Ma applicato ad un ambito differente, esprime il tendere ad un rapporto tra le persone e con gli oggetti gentile e attento, ovvero euritmico”
1. Qual è il suo rapporto con gli “oggetti” ed in particolare con quelli di Artemide?
Per quanto mi riguarda direi che sicuramente esiste un rapporto di euritmia, di rispondenza dinamica ed armonica con taluni oggetti.
Sono quelli che Le Corbusier ha definito “Oggetti a reazione poetica”. Per Le Corbusier si trattava di oggetti naturali (come sassi, legni, conchiglie, frammenti di corteccia). Ma possono essere anche quei semplici oggetti “senza design” che si trovano ovunque nei mercati o, al contrario, possono essere celebri “pezzi” creati dai Maestri del mondo del design (uno per tutti: Franco Albini).
All’interno della produzione Artemide (ma anche in quella di Danese Milano) esistono certamente oggetti per me fortemente evocativi: La lampada Lesbo di Mangiarotti, una vera scultura luminosa; la Callimaco di Sottsass che è in sé un riuscito esercizio di euritmia in quanto composizione armonica di pezzi formalmente autonomi; la Tizio di Sapper, che è stata per me un oggetto del desiderio fin dai tempi dell’università.
Tra le cose più recenti, vorrei citare la Unterlinden di Herzog & de Meuron e la Demetra di Fukasawa. Un posto a parte è destinato alla serie IN-EI di Miyake assieme alle lampade di Munari per Danese Milano Falkland e Bali: tutti questi sono per me veri “oggetti a reazione poetica”.
2. Nei suoi progetti lascia che l’architettura domini l’interior design, il contrario o cerca più un rapporto di equilibrio?
Non avverto una sostanziale differenza tra architettura e interior design. Intendo queste due definizioni soprattutto come un “salto di scala”, cioè un approfondimento a scala diversa di un medesimo problema: quello dell’abitare. Termine questo che deve essere inteso nel senso più ampio possibile. Quindi non solo la Casa, ma anche tutti gli spazi che consentono lo svolgersi delle attività umane: dal lavoro alle attività culturali e al divertimento.
Ciò significa che i mezzi di cui mi servo per definire lo spazio dell’abitare provengono indifferentemente dai due ambiti del progetto a cui fate riferimento nella domanda.
3. Quale dei suoi progetti ritiene in questa accezione più simmetrico (o asimmetrico)?
Devo premettere che la maggior parte del mio lavoro si è svolto nel campo dell’Exhibition Design dove, nel corso del tempo, ho realizzato circa una trentina di mostre e almeno tre musei.
Una prima considerazione: la natura stessa di questi lavori porta a pensare in modo euritmico (e non simmetrico). In definitiva cos’è infatti una mostra o un museo se non la composizione armonica di opere ognuna delle quali dotata di una forte individualità?
Ognuna di queste opere deve trovare all’interno dello spazio predisposto dal progetto il suo proprio “luogo giusto” attraverso cui relazionarsi al tutto.
In questa ricerca dello spazio ideale per l’opera da esporre, la progettazione della luce svolge un ruolo fondamentale: è solo attraverso un attento uso dell’illuminazione applicato al progetto museografico e dello spazio, che si riesce a far convivere in relazione virtuosa i pezzi esposti offrendoli allo sguardo dei visitatori nella maniera migliore possibile. Grazie a uno studio congiunto fra me, Artemide e TRJ sono stati realizzati, su mio disegno, corpi illuminanti speciali per i saloni storici di Palazzo Butera e per i cavalletti espositori delle opere d’arte.
Il rapporto euritmico tra gli oggetti in mostra è quindi per me costruito oltre che dal progetto museografico, anche dall’uso della luce che di quel progetto è parte integrante. E utilizzare prodotti dalle alte prestazioni come quelli di Artemide facilita sicuramente il raggiungimento di un risultato ottimale.
4. A quale tra gli oggetti realizzati da Artemide si sente più emozionalmente legato?
Alle lampade: Lesbo di Angelo Mangiarotti, Callimaco di Ettore Sottsass, Tizio di Richard Sapper, Unterlinden di Herzog & de Meuron, Demetra di Naoto Fukasawa e infine a tutta la collezione IN-EI di Issey Miyake.
ph. Michele Nastasi